Dal gr. εὐδαιμονισμός, da εὐδαιμονία «felicità», der. di εὐδαίμων «felice», comp. di εὖ «bene» e δαίμων «demone; sorte».
Dottrina che considera naturale dell’uomo la felicità e assegna alla vita umana il compito di raggiungerla; va distinta dall’edonismo, che pone tale compito nel conseguimento del piacere immediato.
Eudemonistica in grado eminente è la dottrina socratica del ‘bene-attraente’ e dell’identità di virtù e felicità, ed è anche l’ideale di Aristotele, per il quale la felicità è perfezione individuale, come attuazione delle proprie capacità, il cui culmine si raggiunge nell’esercizio dell’attività razionale; eudemonistica è anche la dottrina di Epicuro, e nell’e. si può far rientrare anche la morale cristiana quando pone la beatitudine quale premio della virtù.
Il Rinascimento e poi l’Illuminismo e l’utilitarismo ripeterono varie volte il tentativo di dedurre dal naturale desiderio che l’uomo ha della felicità il fondamento della norma morale.
Il massimo oppugnatore rigoroso dell’e. è Kant, che lo svaluta come morale eteronoma; il quale, riprendendo la concezione storica della moralità come dovere, negò pregio morale ad ogni azione non compiuta per puro ossequio alla legge della ragione: anzi disse sicuramente morali solo le azioni fatte per puro dovere, contro il desiderio del piacere e sta proprio in questa esclusione di ogni movente, non solo edonistico ma anche eudemonistico, dall’azione morale (che è tale se compiuta solo per dovere), il rigorismo rimproverato all’etica kantiana.